“Snowboard freeride, amiamo l’adrenalina ma non chiamateci pazzi”
L’ex atleta della nazionale azzurra di freestyle, classe 1987, gareggia nello stesso di Estelle Balet, la campionessa del mondo svizzera travolta ieri da una valanga: “È uno sport per chi adora la montagna”

ROMA – Vive di snowboard da quando aveva 17 anni, Stefano Munari. Ex atleta della nazionale azzurra di freestyle, classe 1987, nato a Bormio, gareggia nello stesso circuito di Estelle Balet, nelle qualifiers dello snowboard freeride World Tour. Non conosceva di persona la campionessa del mondo svizzera travolta ieri da una valanga. Ma della passione della tavola nei fuoripista sa dire tutto. “È uno sport per chi ama la montagna”.
E si invaghisce del pericolo.
“L’emozione che dà sciare sulla neve fresca è impagabile, è vero. Ma conta anche tutto il resto: il modo di starci, in montagna. La bellezza della natura, la possibilità di conoscerla da vicino. E imparare: la geografia e i segni. Te stesso”.
Una specie di filosofia?
“Un po’ sì. Ma non astratta: per vivere e sopravvivere alla montagna, devi essere preparato. Studiare, allenarti, attrezzarti”.
Come?
“Senza improvvisare, ma facendosi condurre dai maestri, possibilmente da guide alpine. Essere pronti fisicamente, allenati. E avere il materiale obbligatorio: il Dva, che è un localizzatore, una pala e una sonda che servono a farti trovare o a trovare un collega rimasto sepolto dalla neve, e cacciarlo dai guai”.
Niente air bag?
“Non è obbligatorio in gara, ma c’è chi lo usa. Il problema della sicurezza è un fatto di cultura: in Italia siamo ancora indietro rispetto a Austria e Svizzera, però le cose stanno cambiando. Al di là dei materiali, conta fare scuola. Io mi muovo sempre con qualcuno di cui mi fido e che sia esperto”.
Come ha cominciato?
“Con gli sci, da piccolo. Alla tavola sono arrivato per caso e me ne sono innamorato. All’inizio per divertimento, poi ho cominciato con le competizioni. Da tre anni sono nel giro dello snowboard freeride. E ci si vive, con i premi fino a trenta mila euro. Passare dalla gabbia degli impianti al fuori pista è naturale “.
Paura, mai?
“A volte. E mia madre non è contentissima. Ma bisogna sapersi prendere dei rischi e avere la capacità di uscire da situazioni di pericolo. La discesa dà emozioni intense, ma importante è anche la salita e saper arrampicare. Nelle tappe
di gara i percorsi sono in sicurezza, ma altrove bisogna fare da sé”.
Siete tutti molto giovani.
“Abbastanza, e ci conosciamo un po’ tutti. Siamo una specie di comunità: ci piace l’adrenalina, ma credete, non siamo dei pazzi”.